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Ho conosciuto molti anni fa il regista, collezionista e storico del cinema José Pantieri (1941-2013). Con l’associazione di cultura cinematografica di cui facevo parte volevamo iniziare una collaborazione che si rivelò da subito impossibile. Si trattava di catalogare parte delle sue collezioni in vista del futuro MICS (Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo), ma il carattere bizzarro e imprevedibile del suo fondatore scoraggiò qualsiasi sodalizio. Pantieri era una personalità in bilico fra il collezionismo e l’accumulazione seriale, il materiale non era messo in ordine e lui imbrogliava spesso le carte, rendendo ardua una catalogazione scientifica. Questo museo aveva avuto una storia difficile: ospitato all’inizio nell’ex-cinema Moderno in piazza della Repubblica, si trasferì nell’ex-pastificio Costa, uno squallido edificio a Porta Portese offerto dal Comune di Roma, che ospitava anche l’Ufficio oggetti smarriti dell’ATAC e – per quanto ricordo – anche il deposito della rivista Capitolium. La sede espositiva aveva un’area di 1.500 m² e comprendeva anche una cineteca e un laboratorio di restauro per le immagini.  La quantità e qualità del materiale era impressionante, come si può vedere nella scheda di Wikipedia alla voce Museo internazionale del cinema e dello spettacolo : migliaia di pellicole del cinema muto, di foto, di cimeli, scenografie, copioni, libri e opuscoli, manifesti e locandine, più attrezzature tecniche di ogni genere. Pantieri illustrava tutto alle scolaresche, agli studiosi; presentava le rare pellicole nelle rassegne specializzate, spesso organizzate da lui. In più è autore di almeno una dozzina di monografie, mentre gli articoli non si contano. Si è anche sposato con una finlandese che – guarda caso – gli ricordava una diva del cinema muto. Nel luglio 2003 la Sovraintendenza pone un vincolo su tutta la collezione Pantieri e per fortuna il sindaco di Roma era Walter Veltroni (2001-2006), noto esperto e appassionato di cinema. Ma nel 2007 – sindaco Alemanno – inizia la parabola discendente: l’edificio viene venduto e il nuovo proprietario sfratta Pantieri – nel frattempo malato – e tutto il museo. La Sovraintendenza chiede la tutela del Museo e acquisisce provvisoriamente i materiali. Gli oggetti vengono messi in magazzino (si spera asciutto), mentre nel 2008 tutte le pellicole, sia mute che sonore, vengono consegnate in deposito alla Cineteca Nazionale, che almeno le conserva e le utilizza presentandole in varie manifestazioni.

E qui la storia s’interrompe. Se scorrete l’Internet e anche i gruppi Facebook non troverete niente dopo la chiusura del Museo. Non il nome di un collezionista che abbia recuperato o acquistato parte dei cimeli, né l’indirizzo del fantomatico magazzino dove è conservato quello che non hanno già verosimilmente sottratto. E nemmeno un critico cinematografico o uno storico del cinema che finora abbia fatto un minimo di ricerca e l’abbia resa pubblica. Nulla, è più facile sapere chi ha rapito Emanuela Orlandi. Personalmente trovo strano questo silenzio al limite dell’omertà. Ho anche scritto a Hollywood Party, la nota trasmissione radiofonica su Rai3 e spero che venga almeno lanciato un appello. Pantieri era un tipo estroso, ma aveva raccolto una quantità enorme di materiale raro che andava comunque tutelata. Purtroppo chi doveva farlo non ha saputo o voluto farlo, con una perdita culturale inestimabile.